Un insegnante consiglia di “pensare giù” quando si sale e viceversa quando si scende. E’ una buona tecnica?
Considerato quello che si sente in giro potrebbe persino sembrare una cosa accettabile, però non lo è e non posso certo dire che lo sia. E’ una semplificazione estrema non supportata da alcun principio, da alcun pensiero artistico. Pensare “in giù” mentre si sale può voler dire schiacciare sulla laringe e in gola, con tutto ciò che può significare in termini di suono…!! Pensare in su mentre si scende è meno pericoloso, ma chi fa ciò spesso risulta crescente durante gli intervalli discendenti. Insomma, è una stupidaggine che non val la pena di commentare oltre.
Ho già sentito diversi insegnanti dire che il suono “gira” dietro la nuca. Lo ritiene un consiglio valido?
Ma per la carità! Ecco, rispetto al consiglio precedente, che era una non idea, qui invece entriamo nell’anticamera della rovina delle voci. Non è solo una sciocchezza, è un autentico crimine verso l’arte del canto consigliare o indurre un allievo a pensare a una cosa del genere. Il fiato deve scorrere libero dalla gola verso la parte avanzata della bocca, e non si deve MAI far pensare che il suono possa andare da altre parti, nè posteriori nè superiori nè inferiori. Quando un insegnante parla in questi termini deve essere abbandonato subito, perché non potrà che causare danni.
E’ invece molto più frequente sentir parlare del suono che “gira” dietro ai denti superiori, e mi pare che si intenda, con questo, il passaggio di registro.
Il suono deve “battere” nei denti superiori, che insieme al tratto di palato alveolare, costituiscono il “ponticello” dello strumento vocale, quello che metterà in vibrazione la cassa armonica, dopodiché deve uscire dalla bocca.
Autore: admin
Come scegliere…?
Come scegliere un insegnante di canto quando non si ha alcun criterio, nessun orientamento da seguire?
Certo è difficile scegliere il primo insegnante (ma spesso anche il secondo, il terzo, ecc., se non si è molto fortunati!); il nostro consiglio è quello di evitare nel modo più assoluto: chi non ha mai studiato canto, chi non sappia esemplificare con la propria voce ciò che intende insegnare, chi non sappia rispondere con chiarezza a qualsiasi domanda. In seconda battuta sarebbe meglio evitare anche quei cantanti che godono o hanno goduto di una certa celebrità ma hanno cantato più su una certa disposizione naturale e non hanno maturato una autentica coscienza della voce.
E’ normale, o può essere tollerabile, che una lezione di canto stanchi l’allievo?
Bisogna intendersi sul senso di stanchezza. Una lezione di canto è sempre impegnativa per la mente e anche per il corpo; quindi terminare con un certo senso di stanchezza può essere normale, ma ci dovrebbe essere, di contro, anche soddisfazione, voglia di continuare, orgoglio di aver raggiunto un buon risultato. La stanchezza non si dovrebbe mai avvertire a livello di organi preposti alla fonazione o nella voce stessa. Raramente, magari quando si è, inconsapevolmente, un po’ giù di forma, la stanchezza può avvertirsi prima, o la voce potrebbe leggermente velarsi, o sentire un aumento della secrezione catarrale. Il maestro deve accorgersene per tempo e interrompere la lezione o passare ad esercizi più leggeri o che addirittura abbiano un’azione risanante. Non deve mai succedere che la voce venga a mancare o mostri evidenti segnali di difficoltà. Se problemi di questo tipo avvengono più di una volta o due, siamo in presenza di un insegnante non ottimale, che è forse meglio lasciare.
Può essere valido iniziare una lezione con esercizi leggeri di un’ottava o una decima di estensione?
Assolutamente no! L’Arte si apprende con esercizi semplici, partendo da una nota comoda nel registro di voce parlata più consona al soggetto, e da qui ci si sposta verso l’alto per semitoni, per ridiscendere ogniqualvolta ci sono segnali di difetti. Un’esercizio su un’ampia estensione, per quanto leggero, non permette l’acquisizione di alcuna coscienza vocale, perché sarebbe troppo impegnativo cogliere i difetti che appaiono man mano. Ci sono insegnanti che ritengono che fare un ciclo di vocalizzi su e giù per la gamma sia sufficiente per acquisire una vocalità. E’ il segnale di una incompetenza assoluta. Studiare significa analizzare e correggere. L’insegnante sa quando accettare il suono con un certo grado di difetto, in quanto, per quella lezione, non si può pretendere di più, ma sempre dopo aver fatto raggiungere all’allievo un risultato di cui si renda conto.
La babilonia vocale
Chiunque si sia avvicinato al mondo del canto, avrà sicuramente sentito una miriade di termini “specialistici” con azioni annesse: “butta il suono in maschera”, “fai girare il suono”, “affonda la laringe”, “appoggia sul diaframma”, “apri la gola”, “fai come quando sbadigli”, “pensa di vomitare il suono”, “tieni il suono alto”, “sostieni”, e diverse altre decine potremmo scriverne. Non è che vogliamo sparare a zero su tutto, però riteniamo che questa babilonia terminologica vocale crei una confusione estrema e induca gli allievi a commettere più errori di quanti non farebbero se venissero educati con pochi esercizi semplici e pochissime istruzioni molto chiare e non ambigue e astratte. Molti dicono: il canto è più difficile rispetto ai normali strumenti perché qui lo strumento non si vede. Errato: il pianoforte, per esempio, è praticamente tutto chiuso all’interno di una cassa, come l’organo. Ciò che si suona sono i tasti. Ebbene, nel canto noi abbiamo labbra, bocca, denti, lingua; tutte cose che si vedono e che possono, anzi devono essere utilizzate nell’educazione vocale. Tutto quanto non si vede può essere conosciuto per aumentare il proprio bagaglio conoscitivo, ma non è indispensabile.
Canto e respiro
Qual è la respirazione più idonea al canto lirico?
C’è la diffusa opinione che si possa imparare a respirare per cantare bene. La cosa non è così semplice. La respirazione per il canto, che diventa un apparato di alimentazione dei suoni, e pertanto modifica profondamente il suo sistema di funzionamento rispetto alla respirazione fisiologica, non si può imparare che con idonei esercizi che prevedano l’uso della voce. Quindi è ininfluente, se non indirettamente e in modo lieve, qualunque esercizio di respirazione senza voce. Come è noto esistono due fondamentali tecniche di respirazione abitualmente utilizzate per il canto, che sono definite: respirazione diaframmatica e respirazione costale. La prima prevede l’avanzamento della parete addominale, la seconda un indietreggiamento della medesima. In realtà, poi, esistono una infinità di varianti; alcuni vogliono che nella diaframmatica la parete addominale resti avanzata anche durante l’emissione della voce (pessimo consiglio); altri che indietreggi, alcuni vogliono che la gabbia toracica nella “costale” si allarghi al punto di creare dolore (altro pessimo consiglio). La nostra scuola ha una importante teoria sulla respirazione, che non possiamo illustrare qui, ma per semplicità diciamo che per chi inizia lo studio del canto è meglio non parlare di respirazione, che andrà naturalmente verso la diaframmatica, correggendo eventuali difetti di postura. Quando l’educazione vocale avrà superato i problemi di reazione istintiva più evidenti, si potrà passare alla respirazione costale, che della diaframmatica risulta l’integrazione. Quindi non si tratta di due atteggiamenti respiratori, ma di uno, che si integra, cioè che si ottimizza con l’erezione del busto. Non si può, però, partire subito con la costale, perché nella fase iniziale, quando cioè le reazioni sono molto violente, questo tipo di respirazione stimola ulteriormente lo spoggio della voce.
Sono utili gli esercizi a bocca chiusa per iniziare la lezione?
No! Sono uno dei peggiori esercizi che siano stati inventati, chissà da chi e sfortunatamente molto diffusi. L’idea è che il suono a bocca chiusa possa “focalizzarsi in maschera”. Un’idea totalmente assurda; quando si chiude la bocca il suono è costretto a uscire dal naso; in questo modo la colonna d’aria si alza, e quindi il suono tende a spoggiarsi.; per cercare di impedirlo, si preme sulla laringe ovvero si ingola. Non si capisce perché negli ultimi decenni invece di continuare, come si è sempre fatto in passato con eccellenti risultati, a guidare il suono esternamente, ci si è concentrati su sensazioni e percezioni interne. Chiudere la bocca vuol dire far suonare il suono dentro, che vantaggi si pensa che possa dare al canto, che è proiezione nell’ambiente?
E’ vero che i cantanti lirici devono tenere bassa la laringe?
Siamo sempre allo stesso punto. La laringe deve assumere la posizione più idonea al suono che si vuole emettere, ma non è il cantante che lo decide. E’ un atto di presunzione deleterio. Quando si emette ad es. una U, la laringe si abbassa, perché le corde, comprimendosi nell’ipofaringe, che è un tratto più stretto del faringe, insieme al tratto più lungo che si viene a costituire nella zona compresa tra corde vocali e palato, creeranno un colore più scuro, idoneo a quella vocale. Quando si emette la I, le corde devono assottigliarsi, quindi salgono nell’epifaringe, più ampia, e che permette alle corde di allungarsi e quindi assottigliarsi, per schiarire il suono, più idoneo a quella vocale. Si pensi all’infinità di sfumature di colore collegate alle numerosissime altezze della gamma vocale e si capirà come il pensare di dare una posizione fissa alla laringe sia, nuovamente, un atto di presunzione, e una inutile forzatura.
Esiste un “metodo duro” e un metodo “gentile” per l’insegnamento del canto?
Qualcuno, per metodo “duro” intende non solo un canto perennemente forte, e questo già è discutibile, ma se poi si accompagna ad azioni di forza quale il premere insistemente sulla laringe, allora non ci siamo. Un metodo duro è una serie di esercizi che privilegiano un canto forte solo quando le condizioni psico-fisiche dell’allievo lo permettono; comunque il canto di forza non permette un’educazione esemplare, perché l’istinto non si può domare unicamente con questo tipo di atteggiamento. Una disciplina efficace farà uso di vari modi di approccio a seconda del momento. Del resto non otterrà un risultato particolarmente migliore neanche chi faccia unicamente uso di un sistema “gentile”. Il canto è impegnativo, per il fisico e per la mente. Pensare di scansare la fatica è già in partenza il sistema peggiore di affrontare questo studio. Però, ripetiamolo, la fatica non dovrà mai e poi mai investire alcun organo o tratto coinvolto nella produzione sonora. Una lezione non deve mai terminare con affaticamento della gola o della voce stessa, a meno di, raramente, condizioni fisiche carenti. Però se una lezione viene iniziata sapendo di qualche problema (tosse, mal di gola, raffreddore…), con gli opportuni esercizi può finire con condizioni nettamente migliorate. Può succedere anche che passi un mal di testa. Però potrebbero presentarsi piccoli dolori alla schiena , affaticamento alla zona diaframmatica e soprattutto ai muscoli del viso, perché l’educazione si ottiene con esercizi che fanno un uso intensissimo delle labbra e di tutti i muscoli del volto (non collo e nuca, sia ben chiaro).
Teoria e pratica
Non si può insegnare canto per iscritto. Questo assunto è sempre stato tra i princìpi basilari della scuola del M° Antonietti. Nonostante ciò il m° ha prodotto una monumentale serie di scritti, in parte per rispondere a domande che venivano poste da allievi o persone conosciute, in parte per commentare altri scritti, in trattati o articoli giornalistici, altri ancora per fissare idee ed esperienze “in diretta”. La teoria, per quanto abilmente spiegata, non può MAI servire a educare una voce, quindi qualunque trattato, compreso quello del M° Antonietti, va SEMPRE inteso e letto come orientante, cioè per trovare consigli e spunti di riflessione, ma non per trovare esercizi e metodi utili a educare la propria voce; inoltre la lettura dei trattati di canto deve sempre essere accompagnata da una disciplina di apprendimento del canto, viceversa anche i consigli orientativi rischiano di perdere significato, o di assumerne di molto fuorvianti.
Il canto (quasi) naturale
Per molti cantanti e insegnanti il canto è una “costruzione”, ovvero qualcosa di diverso dal parlato. Stanno sorgendo, per contro, alcune scuole che promettono un canto “naturale”. Potremmo dire che le posizioni sono entrambe errate, anche se i secondi possono essere preferibili, perché almeno eviteranno di riempire la testa dei loro allievi di assurdità; però difficilmente potranno ottenere risultati realmente importanti, perché il canto non è naturale, o per meglio dire, lo è POTENZIALMENTE. L’istinto di conservazione e difesa della specie è nemico del canto, perché tenta di commutare alcune sue funzioni vitali, e in particolare la respirazione. Assecondare la natura, evitando ogni sforzo, è sicuramente giovevole, ma cosa succede quando si cerca di dare corpo al suono, cioè pienezza, intensità, volume, e soprattutto quando si prova a fare questo nel settore acuto? Il diaframma reagirà al peso imposto sollevandosi con forza e provocando lo spoggio del suono. Se si assecondasse questa tendenza si otterrebbero pessimi suoni, non adatti a un canto lirico accettabile; non volendolo, si cercherà un qualche modo per impedire il sollevamento del diaframma, e si ricorrerà quindi a sistemi quali la chiusura della glottide (ingolamento) o la compressione della laringe. Ovviamente il risultato sarà, nel migliore dei casi, comunque mediocre. Questa scuola possiede gli elementi per “domare” la reazione istintiva e giungere quindi a un’emissione realmente naturale, cioè recuperando la naturalità che è già potenzianalmente in ognuno di noi.
Fabio Poggi
Fabio Poggi è nato e vissuto ad Asti, dove insegna canto dal 1988 seguendo le orme del suo maestro. Oltre ad aver curato il testo “belcanto – trattato orientativo di canto artistico”, ha scritto “Fondamenti di belcanto” e prodotto numerosi articoli nel proprio blog, visibile seguendo l’apposito link. La forza di questo scuola, dal m° Antonietti ai suoi allievi più assidui, sta nella assoluta coscienza della voce, nella sublimazione della tecnica a nuovo senso, nella assoluta padronanza di tutto quanto concorre alla formazione di una voce artisticamente esemplare.
Nato nel 1957, si è laureato in architettura nel 1982 al Politecnico di Torino; ha iniziato a 3 anni lo studio del pianoforte, segno della grande passione della musica in lui, unico in famiglia a rivelarla. nel 1977 fonda il Club Amici della Musica “B. Valpreda” e nel 1981 è tra i fondatori del Circolo Filarmonico Astigiano (associazioni ancora vive e molto attive in Asti). Inizia nel contempo, su indicazione del critico e giornalista Giorgio Gualerzi, ricerche sulla vita musicale astigiana, ricerche che saranno coronate venti anni dopo dalla pubblicazione, ad opera della Provincia di Asti, del volume “All’ombra dell’Alfieri” dove, oltre a una esauriente storia della vita musicale astigiana e dei suoi protagonisti, si trova la completa raccolta delle opere rappresentate nei teatri astigiani dal 1739 ai giorni nostri con indici completi. Contemporaneamente agli studi universitari ha iniziato lo studio del canto (classe baritonale) con il basso Carlo de Bortoli, entrando, subito dopo la laurea, presso il coro dell’E.A. Teatro Regio di Torino dove è rimasto per due stagioni. Nel frattempo ha superato il concorso per l’insegnamento dell’Educazione Tecnica nella Scuola Media ed è quindi entrato nel mondo della scuola, dove è giunto a rivestire la carica di Dirigente Scolastico per 20 anni. Durante la permanenza al T. Regio, grazie all’amicizia col soprano Tiziana Fabbricini, ha conosciuto il Maestro Mario Antonietti, già suo insegnante. Alcune esperienze saltuarie con altri docenti, assai deludenti, avevano fatto maturare il lui l’idea che non esistesse un Maestro degno di tale nome; il primo approccio col M°, nonostante gli ottimi risultati, non fu colto subito nella sua portata, ma ha richiesto quasi un mese di letture degli appunti e di “prove” e dialoghi con la Fabbricini a far nascere il serio dubbio che Antonietti fosse IL Maestro. I dubbi sparirono già nel corso della successiva lezione e iniziò dunque un cammino di acquisizione della coscienza vocale, raggiunto nel corso di alcuni anni, prima a Lèvane (AR) poi a Punta Marina (RA). Dal 1988 ha affiancato all’insegnamento scolastico quello del canto, esibendosi occasionalmente in veste solistica in ambito perlopiù locale. Dal 1986 è direttore del complesso mandolinistico “P. Paniati”, e dal 1990 fa parte dell’ensemble vocale “Hasta Madrigalis”. Nel 2006 ha conosciuto il M° Raffaele Napoli, allievo e collaboratore del grande direttore d’orchestra e didatta rumeno Sergiu Celibidache, e ha iniziato un approfondito studio della direzione d’orchestra e della fenomenologia della musica. Nel 2007, con il m° Napoli e con Dario Macellari ha fondato a Roma l’associazione “Celibidache” di cui è diventato vicepresidente. Ha collaborato per molti anni con l’UTEA in qualità di docente di musica lirica, e tiene corsi di direzione di coro. Dopo alcuni anni in cui gli impegni non consentivano la possibilità di gestire una scuola di canto ampia, dal 2007 ha ripreso in pieno l’attività didattica raccogliendo allievi di canto da tutta Italia, immediatamente affascinati da una disciplina finalmente chiara ed efficace. Dal 2015 ha iniziato a dirigere l’Asti Sistema Orchestra, gruppo giovanile costituito prevalentemente di strumentisti ad arco. Questo gruppo oltre a numerosi concerti anche di prestigio, con cui ha eseguito sia musica strumentale che vocale (“La serva padrona”, “Bastiano e Bastiana”, “La cantata del caffé”), ha vinto il primo premio al concorso di Ozzano e si è posizionato nei primi posti in analoghe competizioni.
Fabio Poggi
Fabio Poggi è nato e vissuto ad Asti, dove insegna canto dal 1988 seguendo le orme del suo maestro. Oltre ad aver curato il testo “belcanto – trattato orientativo di canto artistico”, ha scritto “Fondamenti di belcanto” e prodotto numerosi articoli nel proprio blog, visibile seguendo l’apposito link. La forza di questo scuola, dal m° Antonietti ai suoi allievi più assidui, sta nella assoluta coscienza della voce, nella sublimazione della tecnica a nuovo senso, nella assoluta padronanza di tutto quanto concorre alla formazione di una voce artisticamente esemplare.
Nato nel 1957, si è laureato in architettura nel 1982 al Politecnico di Torino; ha iniziato a 3 anni lo studio del pianoforte, segno della grande passione della musica in lui, unico in famiglia a rivelarla. nel 1977 fonda il Club Amici della Musica “B. Valpreda” e nel 1981 è tra i fondatori del Circolo Filarmonico Astigiano (associazioni ancora vive e molto attive in Asti). Inizia nel contempo, su indicazione del critico e giornalista Giorgio Gualerzi, ricerche sulla vita musicale astigiana, ricerche che saranno coronate venti anni dopo dalla pubblicazione, ad opera della Provincia di Asti, del volume “All’ombra dell’Alfieri” dove, oltre a una esauriente storia della vita musicale astigiana e dei suoi protagonisti, si trova la completa raccolta delle opere rappresentate nei teatri astigiani dal 1739 ai giorni nostri con indici completi. Contemporaneamente agli studi universitari ha iniziato lo studio del canto (classe baritonale) con il basso Carlo de Bortoli, entrando, subito dopo la laurea, presso il coro dell’E.A. Teatro Regio di Torino dove è rimasto per due stagioni. Nel frattempo ha superato il concorso per l’insegnamento dell’Educazione Tecnica nella Scuola Media ed è quindi entrato nel mondo della scuola, dove è giunto a rivestire la carica di Dirigente Scolastico per 20 anni. Durante la permanenza al T. Regio, grazie all’amicizia col soprano Tiziana Fabbricini, ha conosciuto il Maestro Mario Antonietti, già suo insegnante. Alcune esperienze saltuarie con altri docenti, assai deludenti, avevano fatto maturare il lui l’idea che non esistesse un Maestro degno di tale nome; il primo approccio col M°, nonostante gli ottimi risultati, non fu colto subito nella sua portata, ma ha richiesto quasi un mese di letture degli appunti e di “prove” e dialoghi con la Fabbricini a far nascere il serio dubbio che Antonietti fosse IL Maestro. I dubbi sparirono già nel corso della successiva lezione e iniziò dunque un cammino di acquisizione della coscienza vocale, raggiunto nel corso di alcuni anni, prima a Lèvane (AR) poi a Punta Marina (RA). Dal 1988 ha affiancato all’insegnamento scolastico quello del canto, esibendosi occasionalmente in veste solistica in ambito perlopiù locale. Dal 1986 è direttore del complesso mandolinistico “P. Paniati”, e dal 1990 fa parte dell’ensemble vocale “Hasta Madrigalis”. Nel 2006 ha conosciuto il M° Raffaele Napoli, allievo e collaboratore del grande direttore d’orchestra e didatta rumeno Sergiu Celibidache, e ha iniziato un approfondito studio della direzione d’orchestra e della fenomenologia della musica. Nel 2007, con il m° Napoli e con Dario Macellari ha fondato a Roma l’associazione “Celibidache” di cui è diventato vicepresidente. Ha collaborato per molti anni con l’UTEA in qualità di docente di musica lirica, e tiene corsi di direzione di coro. Dopo alcuni anni in cui gli impegni non consentivano la possibilità di gestire una scuola di canto ampia, dal 2007 ha ripreso in pieno l’attività didattica raccogliendo allievi di canto da tutta Italia, immediatamente affascinati da una disciplina finalmente chiara ed efficace. Dal 2015 ha iniziato a dirigere l’Asti Sistema Orchestra, gruppo giovanile costituito prevalentemente di strumentisti ad arco. Questo gruppo oltre a numerosi concerti anche di prestigio, con cui ha eseguito sia musica strumentale che vocale (“La serva padrona”, “Bastiano e Bastiana”, “La cantata del caffé”), ha vinto il primo premio al concorso di Ozzano e si è posizionato nei primi posti in analoghe competizioni.
“Tecnica”
Chiunque si avvicini al canto lirico, parla di “tecnica”, e questa benedetta tecnica occuperà anni della sua vita. In cosa consiste la tecnica? Beh, alcuni fanno un po’ di confusione, in merito. Per qualcuno la tecnica è, in parallelo con quella strumentale, l’abilità di eseguire scale, arpeggi, melodie anche complesse, ecc. Nel canto, oltre a questa dimensione tecnica, che ovviamente esiste, c’è un lavoro preliminare fondamentale, e che consiste nel formare il perfetto strumento vocale umano. E’ un lavoro lungo e assai delicato, sempre indispensabile, se pur relativo ai diversi soggetti. E’ infatti evidente come ci siano persone con una vocalità facile, quasi naturale, e altre invece meno fortunate, con una vocalità più “nascosta”, che richiedono lunghi periodi di studio, e altri ancora, che molto difficilmente riusciranno a emettere suoni accettabili, sia dal punto di vista strettamente vocale che da quello musicale. In ogni caso, ciò che è bene che tutti sappiano, è che senza uno studio serio, non è possibile affrontare un canto impegnativo per un lungo periodo, come può essere una carriera operistica. Il Maestro Antonietti ha sempre voluto precisare che la sua scuola non è “tecnica”, ma artistica. La differenza tra tecnica e arte consiste nell’obiettivo finale ma anche in alcuni aspetti filosofici. L’Arte si pone come meta la libertà, quindi la perfezione o per meglio dire: il non oltre; vuol dire formare il perfetto strumento che non avrà bisogno di ulteriore allenamento per mantenere il suo livello di perfezione. Quando parliamo di strumento, nel caso della voce, dobbiamo intendere anche il suo perfetto “archetto”, ovvero l’alimentazione di ogni suono. La tecnica è sempre perfettibile, l’arte no.
Chi siamo
Sono un allievo del m° Mario Antonietti, e il progetto consiste nel proseguire e consolidare la sua scuola di canto che vuole riproporre e riportare agli antichi fasti il teatro lirico italiano, mediante una disciplina che finalmente possa esaltare le qualità di ciascun allievo, per quanto potenzialmente egli può dare, secondo i dettami dell’antica scuola italiana di canto. Sono a disposizione di chiunque intenda studiare o insegnare canto, discutere e confrontarsi su tematiche inerenti il canto o la voce in genere.